Regia: Katia Bernardi
Collaborazione di: Pierluigi Siena
Riprese: Rudy Concer
Copyright: Provincia Autonoma di Bolzano
Anno: 2001
Durata: 15′
L’ufficio Cultura Italiana e la Provincia Autonoma di Bolzano presenta un’altra iniziativa per capire l’arte attraverso un percorso guidato.
Lucio Fontana (Rosario di Santa Fe’ – Argentina 1899 – Milano 1968)
Interventi: Pier Luigi Siena, Agostino Bonalumi – artista e allievo di L. Fontana
Si avvicina all’arte, seguendo le orme del padre, scultore dÂ’impronta fortemente commerciale.
Del 1930 la sua prima mostra personale a Milano alla Galleria Milione e l’adesione al gruppo degli astrattisti milanesi. Le sue sculture in gesso, terracotta e ferro e le formelle in cemento graffito colorato, testimoniano per tutto il decennio, l’interesse di Fontana per i tracciati lineari, ora calibrati, ora estrosi fino all’ironia, con riferimenti allÂ’espressionismo astratto di Kandinsky e alla scrittura automatica surrealista.
Nel 1934 aderisce al movimento francese Abstraction-Reaction assieme a Melotti, Soldati, Veronesi e l’anno seguente inizia l’attività di ceramista per la fabbrica di Tulio Mazzotti ad Albisola. Le sue ceramiche rivelano una particolare attenzione alle potenzialità espressive della materia trattata, alla sua duttilità e plasmabilità al tocco e alla vividità cromatica.
Evolve una sensibilità tutta informale e insieme memore della figurazione barocca, del colore luce di Van Gogh, del dinamismo plastico di Boccioni – fonti che poi citerà negli scritti. Dal 1940 al 1946 si stabilisce a Buenos Aires: nel Manifesto Blanco, redatto nel 1946 assieme ad un gruppo di allievi, Fontana si presenta come lucido e inizialmente incompreso sostenitore di un’arte come superamento dei generi espressivi tradizionali. Nel 1947 ritorna a Milano, dove, in una serie di contatti con artisti, architetti, critici, lancia le basi dello Spazialismo il cui manifesto, del 1948-49, contiene unÂ’esplicita rivendicazione della creatività inerente al gesto.
Emerge la tematica dei “buchi”, con quel “gesto” che renderà l’artista famoso ovunque. I primi sono del 1949 su cartone o tela e sono denominati Concetti spaziali escludendo una possibilità di lettura in chiave di rappresentazione.
Se la matrice è¨ gestuale, la progettualità perseguita¨ quella di un indagine spaziale, la rivelazione dell’infinito, al di là dei limiti del quadro. Dal 1952 al 56, Fontana attraversa una fase specificamente informale: le tele si aggrovigliano in un contesto di inserti materici, sabbia, lustrini, vetri colorati.
Nel 1958, in contrasto con questa linea, nasce la serie dei “tagli” o Attese, condotti su tele monocromatiche, prima multipli in scandita successione, poi solamente unici, con un netto anticipo sulle tendenze dell’arte negli anni Sessanta, dalla pittura monocroma alle strutture primarie.
Con i tagli Fontana stravolge il senso di una superficie dipinta, proponendo un collegamento immediato, anche se doloroso, con lo spazio esterno e quello interno. Tale ricerca raggiunge il suo vertice nella Sala Bianca, allestita nel 1966 per la Biennale di Venezia, volta alla suggestione di una metafisica spazialità .
Degli anni successivi sono, oltre ai Concetti spaziali, altre serie di segno opposto, come Le Nature, sfere in grès turgide e scavate e i Teatrini, costruzioni oggettuali in tela e legno laccato, reminescenti della Pop, ma definiti dall’autore esempi di “spazialismo realista”.
La ricerca di Fontana si articola così per cicli posti in dialettica concomitanza, nella antinomia fra materia e spazio, colorismo vitalistico e acromaticità , espansione dell’immagine e percezione del vuoto, recupero della attività artigianale e proiezione nel futuro elettronico.